“Ha detto che usciva a fare una passeggiata, ma… non me la raccontava giusta. So quando qualcosa gli frulla per la testa. E avevo ragione… Non capisco perché non me l’ha detto… Lo avrei capito.”
– La sua compagna.
“Di solito saluta sempre, ed è molto gentile, eppure quel giorno… insomma ci siamo incrociati sulle scale, ma non ha detto nulla. Gli è successo qualcosa?”
– La vicina del piano di sotto.
“Ho sentito che buttava la spazzatura. Me lo ricordo perché quel giorno c’era il vetro. E il vetro fa rumore. Erano le 15.15 esatte. Lo giuro sui miei figli. Mi ha svegliato dalla pennica quel pezzo di…, per questo me lo ricordo. Ho la digestione lenta, capisce?”
– Un anziano dirimpettaio.
“Il martedì faccio orario continuato. Ho una memoria fotografica. Sarà rimasto 20 minuti a guardare tutti i DVD. Proprio lì, vede quanti sono? Ma non ne ha preso nessuno, li ha solo guardati. Poi mi ha chiesto un giornale locale e un biglietto dell’autobus. Perché me lo chiedete? Si è messo in qualche guaio?”
– Una edicolante del quartiere.
“E come faccio a ricordarmelo. Sa quante persone trasporto ogni giorno?”
– Un’autista del trasporto pubblico.
“Lui non si ricorda di me, ma io sì. È quel tipo di persona, capisce? Di quelle che ti fa sentire invisibile. Comunque, ero dentro quel bar e da lì si vede bene l’ingresso… è proprio di fronte. Camminava su e giù con il giornale sotto il braccio. Sembrava perso nei suoi pensieri… è sempre perso nel suo mondo, come se questo mondo non gli bastasse, capite cosa intendo? Poi è entrato… Non so se può servire, ma non mi è mai piaciuto come tipo.”
– Un amico.
“È il suo giorno fortunato. Guardi qua. Queste sono le entrate di quel giorno per la proiezione pomeridiana. E qui… c’è questa tabella… questa cosa rimane tra noi, vero? Ok, adesso le spiego. Quel pomeriggio abbiamo avuto 10 clienti, sette “X” e tre “O”, vede? Ovvero 3 su 7 erano calvi. Abbiamo questo gioco, tra di noi, in biglietteria. Ci segniamo gli spettatori calvi, così per scherzare. È un lavoro noioso questo… e allora ci inventiamo delle cose. Una volta contavamo quelli con i baffi, ma il responsabile ci ha beccati, e allora siamo passati ai calvi. Quindi non so se è lui, ma se è calvo, allora potrebbe essere lui.”
– L’addetta alla biglietteria.
“L’ho chiamato 10 volte dalle 16.00 alle 18.00. Volevo sapere come procedeva la revisione della sceneggiatura. Non era raggiungibile. Starà provando in teatro. Questo è quello che ho pensato.”
– Un collaboratore.
“Non c’erano molti spettatori quel giorno. Saremo stati una decina. Lui era seduto due file più avanti, pop corn e coca cola. Sembrava felice, sereno.”
– Uno spettatore, calvo.
“L’ho incrociato alla fine della proiezione. L’ho salutato, sembrava a disagio. Gli ho chiesto: come stai? Mi ha risposto: mi piace andare al cinema da solo e poi Dune non si può vedere sul tablet. Ragionevole, direi. Mi ha confessato che si sentiva terribilmente in colpa. Il suo telefono ha iniziato a vibrare e ha chiuso la telefonata senza rispondere. “Quando finisce un film voglio starmene per i fatti miei e non parlare con nessuno” mi ha detto. “Ciao.” E se ne è andato. Mi è sembrato un comportamento strano, asociale, ma mi sono riconosciuta. Anche io detesto quando le luci in sala si accendono e qualcuno si gira verso di me pieno di aspettative e mi chiede: e allora? Mi manda in bestia. Insomma… dammi tempo! Per questo ho iniziato ad andare al cinema da sola. All’inizio anche io mi sentivo in colpa.”
– Un’amica cinefila.
“Mi ha chiuso il telefono in faccia. Chi si crede di essere?”
– Il collaboratore di prima.
“È tornato a casa con la pizza. Crede di cavarsela così… ma la prossima volta tocca a me!”
– La sua compagna.
“Dune è una figata.”
– Lui.