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Ho scritto una sceneggiatura, e adesso? | #5 | Dolcetti

In questi articoli affronto finalmente una domanda che si ripresenta ciclicamente alla fine dei corsi di sceneggiatura o dei percorsi di tutoring / writing coach: “Ho scritto una sceneggiatura, e adesso?” A partire da questa domanda propongo delle riflessioni, che spero siano utili, per gli sceneggiatori e le sceneggiatrici che vorrebbero vedere concretizzati i loro lavori e che vorrebbero intraprendere una carriera nel mondo della sceneggiatura.

In questo ultimo articolo vorrei condividere con voi degli aforismi e un ricordo per fissare alcuni concetti chiave. Grazie per l’attenzione che mi avete dedicato e fatemi sapere se i miei consigli hanno funzionato in qualche modo!

Iniziamo con un classico:

Inviare una sceneggiatura a una casa di produzione è come presentarsi a casa di un conoscente con una cassettiera. Un gesto davvero sconveniente e insensato (anche se la cassettiera è finemente pregiata)

L’equazione “ho una bella idea” quindi “avrò sicuramente successo” in Italia non funziona.

Il mondo della sceneggiatura e del cinema è pieno di persone di talento, con un’idea chiara di come dovrebbero andare le cose per funzionare in modo logico, creativo e rispettoso. Riconosci quelle persone e unisciti a loro.

Il mercato dell’audiovisivo funziona al contrario rispetto all’immagine che ci siamo creati attraverso la cinematografia anglosassone: prima arrivano i soldi e poi si lavora l’idea.

L’elemento positivo dei fondi è che lasciano tracce.

Segui solo le tracce che rispettano i tuoi passi. (YKWIM)

Nelle collaborazioni fidati delle sensazioni. Quando senti che qualcosa non va significa che qualcosa non va. (so che sapete a cosa mi sto riferendo).

Non è tutto oro quel che luccica e non è tutta cacca quella che puzza.

Le rivoluzioni tecnologiche e produttive sconvolgono la struttura del mercato. In quei momenti si liberano degli spazi e chi è pronto riesce a ricavarsi un posto e a costruirsi un nome.

Molte produzioni non hanno bisogno del riscontro del pubblico per essere considerate un successo. Il pubblico spesso è un dettaglio del processo, non il fine del processo. Il fine dell’intero processo potrebbe essere una corretta gestione finanziaria della produzione artistica.

Questo è un lavoro che richiede sacrifici e capacità di adattamento. Nel tuo viaggio non allontanarti troppo dalla tua natura e chiediti sempre cosa vuoi fare e perché stai facendo determinati sacrifici. È un attimo iniziare con ambizioni artistiche e finire in amministrazione finanziaria. O viceversa.

Le idee non hanno prezzo. Con una buona idea puoi sfondare. L’ho visto tante volte. Ne sono sicuro.

In un mondo nel quale devi essere sempre pronto ad arrangiarti, inventare, improvvisare, risolvere, … ricordati sempre qual è il tuo obiettivo finale. Non perdere la via.

Se non sai qualcosa, chiedi. Non sai come è fatto un trattamento? Chiedi. Non sai quanto verrai pagat*? Chiedi. Se senti che chiedendo verrai giudicat*, frequenta altre persone.

Dai un valore al tuo tempo. Cerca sempre di capire che cosa è investimento, che cosa è beneficenza e cosa è lavoro retribuito.

Bello questo vero?

Dissolvere un’illusione non significa smettere di sognare. Significa fare sogni più concreti.

Se non ho ragione potete schiaffeggiarmi con le vostre Birkenstock puzzolenti.

Infine, condivido con voi un ricordo.

Tanti tanti anni fa venni invitato, assieme al mio socio, ad un convegno sul futuro delle produzioni cinematografiche in quanto entrambi eravamo delle giovani promesse dell’audiovisivo.
Ah che roba?!?!
All’epoca avevo circa 25 anni, quindi il termine giovane mi calzava già un po’ strettino. Ma vabbè, decisi di partecipare lo stesso ed indossai il mio costume da giovane: maglietta spiritosa, pantalone sopra il ginocchio e ciabatta griffata.
E così, pieno di riconoscenza e carico di speranze, come solo un giovane può essere, presi il mio posto sul palco accanto al mio socio che per la cronaca era vestito esattamente come me.
Riuscite a visualizzarci?
Ora… dovete sapere che oltre a noi due, sul palco, c’erano una decina di signorotti attempati giaccacravattati che occupavano posti chiave nelle stanze dei bottoni del mondo della cinematografia.
Non mi sentivo molto a mio agio su quel palco. C’era troppa differenza di età e troppa differenza di abbigliamento tra noi e loro. Mi sentivo come se un gruppo di anziani massoni avesse selezionato due figli di operai per una circoncisione rituale. Sono le cose che fanno i massoni, vero? Ma non divaghiamo…
Era un pomeriggio afoso e il sole picchiava forte sulla mia giovane testa già calva. Il pubblico occupava a gruppetti sparsi la grande platea, dando una sensazione di disinteresse e alopecia.
Il dibattito iniziò in un festival di autocelebrazioni e logorrea. Io osservavo i relatori più anziani e un po’ mi vergognavo delle mie ginocchia al vento. Ammiravo i loro foltissimi capelli bianchi e i loro completi di Gucci dai quali spuntavano le loro manine prive di muscoli e dalla pelle trasparente. Si percepiva un forte odore di classismo, democrazia cristiana e immortalità.
Ad un certo punto colpo di scena. Uno di questi vecchi incartapecoriti che sedeva con noi sul palco prese la parola. Il decano gestiva già da qualche decennio un non precisato fondo pubblico per il finanziamento di progetti audiovisivi. Nel suo intervento sul futuro del cinema il saggio dinosauro sostenne che LVI, in quanto gestore di danaro pubblico, aveva l’obbligo morale di utilizzare tutto quel cash per dare stabilità a chi già lavorava da tempo nel campo dell’audiovisivo.
Riuscite a immaginare la faccia da giovane calvo allibito che ho fatto in quel momento?
Il vecchio onnipotente ribadì che il SVO fondo doveva assicurare alle persone che già da tempo operavano nel settore audiovisivo la stabilità di un futuro lavorativo.
Ora, questo concetto mi fece letteralmente schiumare… al che il mio socio resosi conto della vena che mi si stava gonfiando in faccia e del sangue che mi usciva dalla narice in stile Undi, mi strappò di mano il microfono prima che potessi pronunciare la parte finale della frase “Vecchio rin…”.
Peccato mi abbia interrotto.
Nessuno saprà mai cosa volessi dire.
Perché mi ero indignato?
Perché quel feudatario onnipotente confondeva i fondi audiovisivo con l’INPS e i fondi pubblici con il SVO fondo personale. Quel giorno, su quel palco io ho capito che non importava quanto talentuoso fossi, quanto giovane fossi o quanto graziose fossero le mie ginocchia, non importava quanta professionalità mettessi nei miei lavori, non importava quanto copioso fosse il flusso di sangue che colava dalle mie narici. Avrei comunque ricevuto porte in faccia, almeno fino a quando non fossi diventato un vecchio mestierante con poche idee in testa e tanto bisogno di assistenza da parte di un fondo paternalista gestito da un personaggio medievale intenzionato a debellare la meritocrazia dalla faccia della terra. (dovete rileggere quest’ultima frase tutta d’un fiato)
Quel giorno ho capito che se volevo fare strada sarei dovuto diventare amico di quel viejo todopoderoso. E sapete una cosa? Non mi andava. Avevo, e ho, altri ideali e altri principi. Quel giorno ho deciso che a me quella cosa non stava bene, ma che avrei comunque cercato altre vie per arrivare lì dove volevo arrivare.
Quindi mi alzai, scesi dal palco e portai i miei graziosissimi pantaloncini corti fuori da quell’arena.

Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire l’eco delle mie ciabattine griffate che risuonavano tra gli spalti semivuoti.

NOTA DIVERTENTE: quel vecchio è ancora al suo posto straLOL!!!

Pace e amore a tutt* <3

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