Thirteen Lives + The rescue + The cave = una storia sempre diversa
In questo articolo commento la visione di tre opere cinematografiche Thirteen Lives + The rescue + The cave ispirate all’incidente della grotta di Tham Luang, avvenuto il 23 giugno 2018 in cui rimasero intrappolati dodici ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 17 anni e un uomo di 25 anni.
Vi è mai capitato di ascoltare una storia che vi è piaciuta così tanto, ma così tanto da volerla riascoltare più volte?
Sì, vi è capitato perché tutt* voi che state leggendo questo articolo siete stat* bambin*.
E vi è mai capitato di dover raccontare una storia, la stessa storia, più e più volte?
Anche in questo caso la risposta è sì! Perché tutt* voi che state leggendo questo blog avete avuto un figlio o avete tamponato qualcuno in auto o vi è capitato qualcosa di straordinario e inusuale… come avere un figlio o tamponare qualcuno.
Quando ripetete più volte una storia, non so se ci avete fatto caso, ma accade qualcosa di meraviglioso e inquietante e ispiratore (non trovo il termine adatto). Ad ogni ripetizione la storia cambia, evolve, si modifica e in certi casi si contraddice tra una versione e l’altra pur rimanendo sempre la stessa.
Nell’estate del 2018 il mondo intero è rimasto scioccato da una vicenda drammatica e surreale. 12 ragazzini di una squadra di calcio e il loro allenatore sono rimasti bloccati all’interno di una grotta che si dirama all’interno della montagna di Tham Luang Nang Non in Thailandia.
I ragazzini dopo essersi addentrati per un paio di kilomentri nel labirinto di cunicoli, sono rimasti intrappolati dall’acqua che ha innondato la loro via di ritorno. La vicenda ha avuto una risonanza planetaria ed ha rappresentato, al di là della grande apprensione per queste 13 vite, una pagina molto edificante di collaborazione tra nazioni e volontari da tutto il mondo.
Una storia di questa portata e risonanza ha ovviamente ispirato numerose menti creative per la realizzazione di libri, documentari e film… e personalmente mi ha molto interessato ragionare su 3 produzioni cinematografiche che rappresentano questa storia da differenti prospettive, si tratta di:
– il film The Cave (2019) di Tom Waller
– il docufilm The Rescue (2021) di Elizabeth Chai Vasarhelyi e Jimmy Chin per National Geographic
– il film Thirteen Lives (2022) di Ron Howard per Amazon Original
Queste tre opere (alle quali presto si aggiungerà la produzione Netflix Thai Cave Rescue in uscita a fine settembre 2022) hanno numerosi elementi in comune, ma alla fine restituiscono al pubblico tre prodotti cinematografici differenti e distanti tra loro. Come è possibile? Provo a dare delle risposte o degli spunti di riflessione…
1) Perché una cosa è la storia, un’altra è ciò che si vuole raccontare.
La storia è (SEMPRE) un pretesto per raccontare qualcos’altro.
In realtà nessuna di queste 3 produzioni parla di 13 persone intrappolate in una grotta… bensì parlano di speranza, della capacità umana di credere e collaborare, della capacità di superare i propri limiti. Non intendo con questo dire che queste 3 opere portano 3 messaggi, bensì che affrontano 3 tematiche diverse che hanno permesso di organizzare in modo diverso gli elementi della storia.
2) Raccontare una storia significa scegliere un punto di vista.
Proprio così. Quando raccontiamo una storia ci avvaliamo di uno strumento potentissimo per comunicare le azioni, le emozioni e le poste in gioco. Questo elemento formidabile sono i personaggi. Quando raccontiamo una storia lo facciamo attraverso le loro azioni. Tutto viene stravolto e cambia di significato a seconda che il punto di vista sia quello dei soccorritori, o quello delle persone intrappolate, o quello della comunità che accorre sul luogo per aiutare o quello della divinità che abita la montagna. Non è un caso che Netflix abbia chiesto l’esclusiva sulle storie dei 12 giocatori, un modo per assicurarsi un punto di vista avvincente senza ombra di dubbio.
3) Il genere condiziona delle scelte.
Esatto. Molto spesso è il genere all’interno del quale si vuole far rientrare una propria ideazione a condurre a delle scelte (più o meno obbligate). Pensate al caso di The rescue, il docufilm a cura del National Geographic ispirato ai fatti sopracitati. Vi sembrerebbe possibile raccontare la storia dell’incidente della grotta di Tham Luang al pubblico del National Geographic senza strutturare tutta l’opera all’interno di riferimenti precisi, filmati originali, interviste alle persone coinvolte nel salvataggio? No, non sarebbe possibile perché il genere (docufilm) e il pubblico per il quale è stato pensato chiedono chiaramente un prodotto con delle determinate caratteristiche. Mi correggo: in realtà sarebbe possibile deludere le aspettative del pubblico e andare contro la cornice delineata dal genere. Potete fare quello che volete. Siete liber*… ma non è consigliabile, un po’ come entrare diversi chilometri all’interno di una grotta sotterranea durante un forte acquazzone. Va bene? So che comunque farete di testa vostra.
In conclusione!
Quando si scrive una storia non si tratta tanto di essere originali, ma di avere qualcosa di chiaro da raccontare (e di cui la storia rappresenta il pretesto), di scegliere un punto di vista specifico (ovvero di capire chi porta la storia) e un genere ben determinato (per intuire il tono, il ritmo e i “momenti” della nostra storia che il pubblico si aspetta che ci siano).
Vi vengono in mentre altri elementi capaci di determinare la “forma” di una storia?
(Il budget ad esempio…)