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Avremmo riso

Don’t look up di A. McKay

Difficilmente vedo un film due volte… ma con Don’t look up avevo una sorta di conto in sospeso.

Mi aveva colpito particolarmente il clamore e il dibattito che questo film ha suscitato in chi lo ha visto. Per alcuni giorni ho avuto come la sensazione che chiunque fosse entrato in contatto con questo film avesse l’urgenza di parlarne (in positivo o in negativo) e di dire la propria.

È sempre molto interessante quando una creazione ci chiama in causa.

Per questo sono ritornato su quest’opera. Per comprenderla meglio, e per cercare di capire cosa ci sta dicendo… perché ci sentiamo così coinvolti da questa narrazione? Che cosa muove in noi?

Metto per un momento in pausa questo discorso, per parlavi del regista e sceneggiatore Adam McKay, che è anche autore televisivo e attore comico, e che annovera tra le sue esperienze la partecipazione al celebre programma satirico Saturday Night Live e la regia di diversi film tra il grottesco e il demenziale (tra tutti cito Anchorman 2… un film che mi ha fatto letteralmente spanciare dalle risate).

Don’t look up nasce da questo background comico-grottesco, e contiene all’interno della sua sceneggiatura molti momenti esilaranti che… mi hanno letteralmente angosciato dall’inizio alla fine e che non mi hanno fatto nemmeno sorridere neanche per un secondo.

Per questo, la ritengo un’opera grandiosa, clownesca, un gran fallimento comico (il fallimento è una situazione tipica del repertorio clownesco), di cui i responsabili siamo noi e il tempo che viviamo.

La comicità è una questione di ritmo, è il tempo (comico) che rende ridicolo un gesto o una battuta. In Don’t look up ci sono una miriade di battute geniali, dette però fuori tempo comico. E questo essere fuori dal tempo comico, sposta completamente il genere di questo film. Ma la questione del tempo non è interna al film. Questo film è un’opera molto precisa, che proviene dalla penna di un autore/regista che sa il proprio mestiere. Il problema è nel tempo in cui il film è stato distribuito. Il nostro tempo. Il tempo degli spettatori.

Don’t look up è una battuta divertente, detta in un contesto capace di stravolgerne il senso. Condivido con te le riflessioni che ho avuto alla prima visione:

Ho iniziato a vedere Don’t look up, mi sta piacendo, ma ho messo in pausa… mi è partita una riflessione che condivido con voi: dove si è spostato il nostro senso dell’assurdo e del grottesco?

I personaggi del film risultano verosimili e le situazioni che interpretano sembrano realistiche, ma se avessimo visto questo film nei primi anni 2000 ci sarebbe probabilmente sembrato surreale, forzato e demenziale.

Ho il sospetto che la pandemia e le sue conseguenze sociali abbiano modificato il senso del “normale” e del “quotidiano” facendo emergere l’irrazionalità e le contraddizioni della nostra natura.

Siamo quotidianamente esposti all’irrazionalità, all’ipocrisia, ai limiti e alle contraddizioni della nostra società. Da questa prospettiva guardiamo questo film, e le scene che dovrebbero far ridere o avere uno spirito provocatorio, sembrano cinema-verità.

Non so cosa significhi tutto questo, ma lo trovo molto interessante da un punto di vista creativo: che caratteristiche deve avere oggi una narrazione realista? Che caratteristiche ha oggi una narrazione surrealista?

In fin dei conti viviamo in un’epoca che vede i comici fondare partiti e lottatori di wrestling (o clown) diventare presidenti… quindi cosa ci può dire questo film oltre quello che già sappiamo?

Concludo questo articolo invitandoti a leggere le prime 4 pagine della sceneggiatura (trovi il link qui): osserva in modo particolare l’uso meticoloso dei verbi e rifletti su come vengono presentati i personaggi attraverso le azioni e le descrizioni. C’è una mano esperta dietro questo lavoro!

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